È una tecnica che è rimasta praticamente immutata nei secoli. È cambiata l’attrezzatura (oggi in acciaio), è stata migliorata la termoregolazione dei tini di cottura e delle cantine, e c’è una maggiore attenzione alla sanitizzazione.
Anche I tempi di lavorazione sono rimasti gli stessi: la giornata di lavoro di circa 8 ore per una “cotta” odierna non differisce molto da quella di una “cotta” antica. Le fasi della preparazione del mosto di birra sono la macinazione, l’ammostamento e saccarificazione, la filtrazione, la bollitura e luppolamento, il raffreddamento e aerazione, la fermentazione, l’imbottigliamento e la rifermentazione.
Ma vediamo quali sono le 8 fasi della preparazione del mosto di birra:
I grani di malto d’orzo e di altri cereali eventualmente utilizzati vanno macinati per mettere a disposizione il loro contenuto amidaceo.
Questa operazione ha grande importanza, perché una macinazione eseguita in modo scorretto può essere causa di vari problemi nelle fasi produttive successive o di aspetti organolettici indesiderati nella birra finita.
Nella fase di ammostamento il malto macinato è miscelato con acqua calda per permettere l’attivazione degli enzimi contenuti nel malto. Questi enzimi hanno bisogno di condizioni di temperatura e acidità particolari. Esistono due metodi di ammostamento:
a) ammostamento ad infusione: la miscela acqua/cereale viene progressivamente portata a determinati livelli di temperatura tramite riscaldamento della miscela
b) decozione: una parte della miscela viene separata e portata ad ebollizione, e successivamente riunito alla miscela principale.
Infusione e decozione donano alle birre caratteristiche differenti. Nel malto esistono diversi enzimi, ognuno con un’azione diversa, e che operano al meglio con temperature e acidità (pH) diverse. Quelli più importanti sono quelli del gruppo delle amilasi, cioè quelli che degradano gli amidi del cereale in zuccheri semplici.
L’ammostamento e la saccarificazione sono quindi una fase fondamentale della produzione, perché rappresentano il momento in cui il birraio impone al prodotto finito le caratteristiche basilari desiderate: corpo, beverinità, tenuta della schiuma, eccetera.
A saccarificazione terminata, cioè dopo che gli amidi sono stati trasformati in zuccheri semplici, è necessario filtrare la miscela. Di solito questa fase è realizzata con l’ausilio di un tino con un doppio fondo che, sostenendo le trebbie, permette al mosto zuccherino di essere filtrato sino a essere privo di impurità.
Per un’azione ancora più efficace, il primo mosto (più torbido) viene ricircolato nel tino filtro per sottostare ad una ulteriore filtrazione.
Estratto il primo mosto, rimane ancora imprigionata nelle trebbie una notevole quantità di zuccheri. Per recuperarli e quindi aumentare l’efficienza del sistema di produzione, si procede all’aggiunta di acqua calda sulle trebbie per due o tre volte, recuperando nuovo mosto attraverso ulteriori fasi di filtrazione.
L’importanza di questa fase è nell’evitare che le glumelle del malto d’orzo e altre impurità più fini passino nel mosto e che arrivino alle fasi successive di bollitura, causando un rilascio di tannini e altre sostanze nella birra finita, provocando indesiderati gusti astringenti.
La bollitura del mosto, successiva alla filtrazione, è effettuata di norma per 60-90 minuti ed assolve a diverse funzioni: – denatura gli enzimi ancora eventualmente presenti – sterilizza il mosto – concentra il mosto mediante evaporazione – favorisce, in certi stili, la creazione di “composti di maillard” per dare note di caramello e crosta di pane e, in funzione della presenza del luppolo in bollitura: – favorisce la coagulazione e precipitazione di proteine e polifenoli – consente, attraverso una bollitura prolungata, la trasformazione degli alfa acidi del luppolo in iso-alfa acidi, responsabili della componente amara della birra.
Dal punto di vista organolettico, il luppolo svolge non solo una funzione amaricante, ma anche aromatica, grazie al contenuto di olii essenziali. Come accennato la funzione amaricante può essere resa possibile solamente portando il mosto ad ebollizione e comunque a temperature superiori ai 96 °C, altrimenti il processo di isomerizzazione degli alfa acidi non risulterebbe efficace.
Al termine della bollitura il mosto contiene diverse “impurità” dovute a residui di luppolo e proteine coagulate; il procedimento più comune per la loro eliminazione è il sistema “whirlpool”, ossia un metodo di movimentazione circolare del mosto che favorisce la decantazione delle parti solide in un’unica area centrale del tino in cui il mosto è temporaneamente sistemato.
Il mosto è poi raffreddato attraverso uno scambiatore di calore sino alla temperatura adatta al tipo di fermentazione scelta (alta 16-25° C oppure bassa 7-15° C) e quindi trasferito nei serbatoi di fermentazione. Il mosto dopo la bollitura è però povero di ossigeno, elemento indispensabile per la fase di moltiplicazione della massa di lievito.
Il birraio provvede quindi a reintegrare la quantità di ossigeno necessaria attraverso vari metodi, come l’insufflamento nel mosto di ossigeno puro o aria sterile oppure semplicemente con un arieggiamento meccanico (ad esempio con la caduta del mosto nel fermentatore da una certa altezza o il semplice rimestamento del mosto nel fermentatore). Il mosto è finalmente pronto per l’aggiunta del lievito e la fase di fermentazione.
La fermentazione avviene a una temperatura tra i 18 e i 22 gradi e dura dai 4 ai 7 giorni. Il tino deve essere ben chiuso per proteggere il mosto dagli agenti esterni.
Dopo qualche ora dall’aggiunta del lievito il mosto comincia a “frizzare” producendo una schiuma densa sempre più consistente. Questo avviene normalmente dopo 5 – 15 ore dall’aggiunta del lievito a seconda del tipo di lievito impiegato. Dopo 24 ore dall’aggiunta del lievito, si rimuove la schiuma facendo attenzione a togliere tutte le particelle di lievito esaurito senza farle ricadere nel mosto. E dopo altre 24 ore si ripete l’operazione. La densità finale è circa un quarto di quella iniziale.
Dopo aver lasciato riposare il mosto per un paio di giorni per fargli perdere la torbidezza, la birra è pronta per la fase successiva.
Dopo aver disciolto 6 o 7 grammi di zucchero per litro di birra in mezzo litro di acqua e dopo averlo bollito e raffreddato si travasa la birra in un altro contenitore di capacità adeguata, stando attenti a non raccogliere il lievito depositato sul fondo.
Si versa quindi l’acqua zuccherata nella birra e si mescola piano piano. Poi si imbottiglia lasciando 3-4 cm. di aria tra birra e tappo (se si usano bottiglie da 33 cl.), o in proporzione per bottiglie diverse.
Dopo aver lasciato le bottiglie per una settimana in un luogo abbastanza caldo (20-25 gradi) si trasferisce la birra in un luogo più fresco al riparo dalla luce. L’aggiunta di zucchero per la fermentazione secondaria in bottiglia che produrrà la carbonatazione (frizzio) della birra. Si può aggiungere, invece dello zucchero, estratto di malto o mosto.
Dopo 1 o 2 settimane la birra sarà già limpida con il lievito depositato sul fondo, ma dovrà maturare ancora per essere buona. Per le birre leggere da 3-4 settimane a 2 mesi, per le birre medie 3 mesi, fino a 1 anno per le birre “forti”. Si può decidere di non filtrare la birra perché così il lievito (che è comunque rimasto in sospensione può passare nelle bottiglie per la fermentazione secondaria. In alternativa si può filtrare 3/4 della birra, oppure filtrarla tutta e poi ri-aggiungere del lievito per la rifermentazione.